Intorno fioriscono le viole è una serata di letture poetiche in omaggio all’opera del “poeta delle pantegane”, come amava definirsi Federico Tavan.
Federico Tavan è un poeta che il teatrino del Rifo ha conosciuto bene, da vicino. Negli anni Novanta c’erano anche loro ad ascoltare e a volte a dare voce ai suoi versi, negli anni e nelle serate, indimenticabili, in cui si rivelava l’opera di Tavan e il poeta cantava la sua “preziosa eresia” nella lingua del suo borgo, Andreis, e delle montagne della Valcellina.
Paragonato dal critico letterario del Corriere della Sera Gianluigi Colin a Dino Campana e ad Alda Merini, perché “la vita gli ha riservato un destino di equilibrio fragile, diviso fra gli abissi della malattia mentale e il dono di una poesia che fulmina”, Tavan è uno dei poeti che più hanno lasciato il segno negli ultimi vent’anni di creazione poetica in Friuli.
Un poeta-bambino, “trasgressivo e innocente”, come lo definisce Claudio Magris, “poeta-maudit, socialmente irregolare e indigesto”.
Protagonisti del reading, Giorgio Monte e Manuel Buttus, pronti a dare voce a un iter fra le poesie, gli scritti d’occasione e le lettere di Tavan. Ma a parlare di lui ci saranno anche le foto scattate in questi anni a Tavan da Danilo De Marco, intercalate e illustrate – poesie e foto – dagli interventi di Paolo Medeossi, giornalista e da sempre grande amico del poeta, autore qualche anno fa di uno dei libri più belli, documentati e fedeli sul poeta, “Tavan, la nostra preziosa eresia” (Forum Editrice).
“Federico Tavan – osserva Medeossi – è il narratore strambo d’un microcosmo arcano e sensibile: dal suo regno superinfantile, pazzo e caotico, racconta meraviglie e misteri della vita che i normali soffocano appena diventano membri responsabili della società e ci fa vedere, affondando la parola come bisturi, cosa si nasconde sotto la crosta dei buoni sentimenti. (…) Federico ci racconta di un paese lontano, con i lampi, l’ironia, il dolore, il friulano della piccola Andreis che diventa lingua scritta, l’intima sincera ribellione contro le assurde regole del tempo, la naturale fanciullezza. Sono doni che ci fa portando i suoi versi fragili sul palmo della mano come un fiore preziosissimo. Lo fa parlando dalle frontiere estreme e difficili in cui le circostanze della vita lo hanno cacciato: un appartato borgo di mezza montagna o l’interno di un centro di igiene mentale. Perché lì, ancora una volta, la poesia rivela la portentosa capacità di rendere evidente come sia possibile essere altrove e sentire nel profondo la vita che cammina mentre intorno fioriscono le viole”.