Jackpot Mi(g)lionario
di Giorgio Monte
con Manuel Buttus
una produzione teatrino del Rifo / CSS Teatro stabile di innovazione del FVG
con il contributo di Provincia di Udine
e con la partecipazione di Bluenergy
con la collaborazione scientifica di A.A.S. n. 2 “Bassa Friulana-Isontina” – Struttura Complessa Alcologia e Dipendenze Patologiche Palmanova-Latisana
un ringraziamento particolare alla dottoressa Valentina Vidal
In ogni bar c’è almeno una “macchinetta”. Spesso più di una.
Nella sola Udine si contano 2.665 esercizi commerciali autorizzati al possesso di slot machine per il gioco d’azzardo.
Il sottotitolo di questo spettacolo lo abbiamo letto su un cartello appeso in uno di questi locali. Recitava: Jackpot Miglionario.
Ci è sembrato la sintesi perfetta, il simbolo di un modo di pensare che sta diventando un diffuso modus vivendi. Un’attitudine a credere che non importa studiare, impegnarsi, lavorare, fare progetti, nemmeno saper scrivere correttamente nella propria lingua. L’importante è vincere. Fare Jackpot. Quasi la nostra vita dipendesse esclusivamente da questo. Da un gratta-e-vinci, da una puntata pazza e fortunata, da un rien ne va plus.
Secondo le più recenti ricerche, in Italia sarebbero circa 800.000 i giocatori cosiddetti “problematici”, che si giocano tutti i propri averi, disfacendo la propria vita e quella dei propri familiari. E sono sempre di più le famiglie che sono costrette a rivolgersi agli assistenti sociali in cerca d’aiuto. Perché la dipendenza da gioco d’azzardo è una patologia, una vera e propria malattia in grado di compromettere lo stato di salute fisica e psichica del giocatore, con gravi ripercussioni di carattere sociale, sul lavoro e all’interno della famiglia.
A rischio sono persone di tutte le età. Uomini, donne, pensionati e lavoratori, e purtroppo molti ragazzi sono “drogati” dal gioco d’azzardo. Sono passati con facilità dai videogiochi e dalle consolle di casa, a quelli delle sale giochi e alle slot machine.
Se digitate su un noto motore di ricerca la domanda: “Perché giochi alle slot machine?”, la prima risposta sarà: “Semplice: giochiamo alle slot machine perché amiamo vincere soldi e vogliamo farlo nel migliore dei modi possibili”.
Il migliore dei modi possibili. Senza fatica, senza sforzo. Tutto e subito.
In un mondo che sembra non offrire più nulla, una giocata fortunata a una slot machine, può risolverci il futuro.
800.000 giocatori problematici, dicevamo. È un numero spaventoso.
Quel numero significa che se entriamo in un bar slot del Friuli, in una sala scommesse della provincia campana, in una ricevitoria del modenese, in mezzo a personaggi e a situazioni a prima vista banali o addirittura divertenti, sappiamo per certo che lì dentro c’è un giocatore problematico. E in quel bar possiamo assistere a dei veri e propri atti d’un dramma in corso.
Anche nelle comunità più piccole, dove la solidarietà e la rete sociale dovrebbe essere più salda, le vittime del gioco – giocatori compulsivi che non riescono a smettere e continuano a perdere – vengono abbandonate. Quasi come appestati. Lasciati alla propria vergogna. Nei bar ci sono cartelli che recitano: “Chi gioca non ama essere guardato”.
Il gioco e il sogno aleatorio di vincere una “vita da milionario”, finalmente diversa da tutti gli altri, non fanno che metterci uno contro l’altro. Per il gioco siamo pronti a sbranarci tra di noi. E invece siamo tutti vittime di una subdola dipendenza.
“Se la tua “macchinetta” non paga te, pagherà certamente me”.
Cannibali brava gente ci mette in ascolto delle storie di tre giocatori.
Roberto, Antonio, Mario. Un operaio, un manager, uno studente. Persone con una famiglia, un lavoro, dei progetti di vita, come tutti. Persone che si sono illuse di cambiare vita, e che il gioco, la vita, gliel’ha cambiata veramente.
Tre storie emblematiche che raccontano un fenomeno sociale impressionante, con centinaia di migliaia di giocatori che iniziano a giocare per caso e diventano giocatori compulsivi che non riescono a smettere e continuano a perdere.